Visita alla Triennale a Milano
Sveglia di prima mattina per alcuni dei soci AFA che hanno deciso di partecipare a questa uscita organizzata per visitare alcune mostre fotografiche presenti alla Triennale di Milano.
Chi in treno e chi in auto abbiamo raggiunto il punto di ritrovo che era fissato per le ore 10.00 davanti alla stazione centrale di Milano dove ci aspettava il nostro amico e guida Andrea Lancellotti. Andrea ci ha accompagnati in giro per i quartieri più caratteristici della città che sono stati ottimi spunti per scattare qualche fotografia complice anche la bella giornata di sole.
Un panino veloce consumato in uno dei tanti locali nell'affollato Corso Garibaldi e poi via alla Triennale. Tra le mostre presenti abbiamo iniziato con quella dedicata a Giovanni Gastel. Un omaggio al fotografo Giovanni Gastel (Milano, 1955 –2021) attraverso due mostre: The People I Like, in collaborazione con il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, e I gioielli della fantasia, in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea. Molto belli i ritratti dell'artista che ha suscitato tra i soci AFA presenti anche un momento di confronto su alcune delle opere esposte.
La seconda mostra visitata è stata " La vita moderna " di Raymond Depardon. Triennale Milano e Fondation Cartier presentano in Italia la prima mostra personale del fotografo e regista francese Raymond Depardon, realizzata con la complicità dell'artista francese Jean Michel Alberola. L'esposizione testimonia come la ricerca di Depardon esplori mondi e contesti molto diversi: dalle comunità rurali francesi alle periferie urbane di Glasgow, dalla vita nella New York degli anni Ottanta agli ospedali psichiatrici in alcune città italiane negli anni Settanta. Le serie in mostra apre con la prima serie, dal titolo Errance (1999-2000). Immagini di strade e passaggi, di vie e rotaie, dove il viaggio diventa vagabondaggio, danno vita a paesaggi che si astraggono volutamente da qualsiasi indicazione di una precisa localizzazione. Tra le geografie dei margini del mondo che caratterizzano l'intera opera di Raymond Depardon, l'Italia occupa un posto particolare e ricorrente. La seconda serie è, infatti, Piemonte (2001), in cui sviluppa un'"arte di prossimità", sottolineando la continuità geografica e culturale transalpina. Ben lungi dall'indagare le differenze, è attraverso le reminiscenze dei paesaggi francesi che percepisce quelli della regione di Torino. Come un'eco, sull'altro versante rispetto al Piemonte, i paesi dell'entroterra mediterraneo svelano le strade in acciottolato e le case dalle facciate irregolari nelle fotografie della serie Communes (2020), che offre un'immagine fuori dal tempo di queste zone del sud della Francia miracolosamente scampate a un progetto di estrazione di gas di scisto, in seguito abbandonato. Un reportage lo conduce a Glasgow (1980) dove fotografa dei bambini, piccoli re delle strade, dei senzatetto, delle risse, cogliendo, a colori, l'inoperosità di una città quasi monocroma. Lo stesso anno fotografa New York, attraversando la città, fissandola attraverso l'obiettivo della Leica che porta al collo:
le inquadrature audaci delle fotografie della Manhattan Out (1980) evocano la solitudine urbana e l'indifferenza individualista. La città gli sfugge, gli appare "troppo forte", impossibile da filmare, come afferma la sua voce fuori campo nel cortometraggio New York, N.Y. (1986). Il desiderio di confrontarsi con "lo spazio pubblico", "lo spazio del vissuto" lo catapulta in un grande progetto: fotografare la Francia, trarne un ritratto contemporaneo, con una macchina fotografica 20 x 25, frontalmente e a colori. La France (2004-2010) di Raymond Depardon è quella ordinaria e quotidiana delle "sottoprefetture", delle piazze e dei bar, degli uffici postali e delle stazioni di servizio. Un'altra Francia si rivela con la serie Rural (1990-2018) – qui esposta per la prima volta – per la quale l'artista percorre le campagne, incontrando i contadini, raccontando la terra e gli uomini che la coltivano, sostando nel cortile di una fattoria, ritrovando quel mondo rurale che era stato uno dei suoi primi soggetti. Sottolineando la fragilità delle piccole imprese, le sue fotografie raggiungono e testimoniano una dimensione politica e ideologica. Questa cognizione si ritrova nella serie che conclude l'esposizione, San Clemente (1977-1981), per la quale, incoraggiato da Franco Basaglia – pioniere della psichiatria moderna – fotografa la vita negli ospedali psichiatrici di Trieste, Napoli, Arezzo e Venezia, realizzando così un reportage sconvolgente alla vigilia dell'adozione della Legge 180, nel 1978, destinata a rivoluzionare il sistema ospedaliero psichiatrico italiano. Il film San Clemente (1980), girato nel manicomio dell'isola veneziana poco prima della chiusura, prosegue l'esplorazione delle frontiere della follia e rivolge ai pazienti quello sguardo umanistico che caratterizza tutto il lavoro del fotografo.
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